Mercoledì, 30 Giugno 2010 13:54

La spiritualità nei Balcani dopo il regime comunista. L'editoriale di A. Nesti

Scritto da  Gerardo

RELIGIONI E SOCIETÀ - Rivista di scienze sociali della religione
Anno XXV, n. 67 – Maggio-Agosto 2010
La spiritualità nei Balcani dopo il regime comunista
Fabrizio Serra editore, Pisa • Roma (ISSN 0394-9397 - ISSN elettronico 1722-4705)
Nel seguito, pubblichiamo l'editoriale a cura di Arnaldo Nesti, dal titolo Alle radici della spiritualità dei paesi post-comunisti dei Balcani.
Si ricorda che per abbonamenti e altre informazioni, si può visitare il sito dell’editore.
Buona lettura!



Editoriale. Alle radici della spiritualità dei paesi post-comunisti dei Balcani
Arnaldo Nesti


Ho ancora negli occhi il paesaggio dei molti e suggestivi monasteri come quelli di Moldavita, di Sucevitza. In particolar modo mi porto viva l’impressione della singolare domanda di vita monastica da parte delle giovani generazioni. Una delle superiore che ho incontrato mi esprimeva il suo disappunto per non potere rispondere immediatamente alle molte domande, per non avere sufficienti spazi disponibili. Come spiegare un tale fenomeno? Come leggere la domanda spirituale ben al di là degli stessi perimetri ecclesiastici?

1. Secondo i dati del 2007 circa il 31% della popolazione dichiara di andare più di una volta al mese in chiesa, il dato più alto dei paesi dell’Unione europea. Questi dati rivestono notevole importanza se si pensa che durante il regime comunista i divieti nei confronti della religione erano forti. Sebbene sia garantita per legge la pluralità nell’istruzione religiosa, di fatto tale diritto non è rispettato: l’approccio interreligioso è, oggi, quasi inconcepibile, dal momento che la Chiesa ortodossa, come Chiesa della maggioranza, cerca di porsi come Chiesa nazionale. Alcuni teologi non hanno esitato a definire il nesso tra ortodossia e spirito del popolo necessario e naturale, minando cosi la possibilità di un ecumenismo in grado di far dialogare le diverse fedi esistenti e al contempo favorendo interpretazioni nazionaliste. Si potrebbe anche pensare, ancorandoci ad una lettura di lungo periodo, che l’ortodossia non partecipò all’elaborazione della modernità, al profilo dell’individuo responsabile dentro e di fronte ad uno spazio civico. “L’etica ortodossa” scrive H.-R. Patapievici è “stata incapace di generare un dibattito pubblico intorno a questi valori… Il religioso ortodosso si dimostra in questo caso completamente staccato dagli svolgimenti etici e civili (Horia-Roman Patapievici, “Biserica ortodoxa romanesi modernitate” (La Chiesa ortodossa Rumena e la modernità), Dilema, 331, Bucarest, giugno 1999).

Per il cristianesimo orientale la problematica della persona, cioè della sua irriducibile singolarità, viene sviluppata all’esterno di ogni sfera istituzionale, viene cioè sviluppata in margine e all’esterno della socialità, si tende all’ipostasi dell’uomo al di fuori del mondo e della storia. L’edificazione di sé, la coscientizzazione di essere persona hanno come spazio emblematico l’eremo e il monastero. L’uomo solo, impegnato in un’intensa avventura spirituale irriducibile agli interessi di qualsiasi istituzione, sarebbe il modello si riferimento della persona responsabile. Lo studio approfondito di alcuni aspetti fondamentali del loro folklore e della loro cultura popolare rivela la presenza di una spiritualità ancestrale – di impronta indo-europea – che scaturisce da una concezione del cosmo come l’unione di cielo e terra. Nelle sfere celesti si troverebbe il demiurgo, che ha creato la terra e vi ha posto l’uomo, allontanandolo cosi da quella dimensione in cui il Tempo e lo Spazio non limitano l’essenza delle creature eteree. L’uomo illuminato ambisce a ricongiungersi con l’Ente che lo ha creato, liberandosi in questo modo dalla tirannia spazio-temporale che lo avvilisce. Tra la dimensione astrale e quella terrena si creano dei vincoli, indispensabili agli esseri umani per non perdersi e non perdere la scintilla divina che permette loro di ricordare da dove provengono. Esistono miti popolari, raccolti in diverse zone dell’attuale Romania da eminenti antropologi ed etnologi, che offrono una spiegazione plausibile, sotto forma di favola, del fenomeno della creazione del mondo e della presenza di creature celesti che fungono da trait d’union tra cielo e terra.
Cultura popolare, dunque, e letteratura colta contribuiscono entrambe a configurare una base teorica solida da cui diversi scrittori attingono il materiale che serve da tematica alle loro opere, sia in verso che in prosa, e lo studio di alcuni di loro suppone un’immersione in una dimensione irrazionale e metafisica poco abituale per il critico letterario occidentale. Ana Blandiana (pseudonimo di Otilia Valeria Coman), nata a Timisoara nel 1942, una delle maggiori scrittrici romene contemporanee, offre una visione particolarmente significativa dello slancio con cui l’uomo tende a superare le proprie limitazioni materiali per innalzarsi, attraverso la creazione artistica, verso una dimensione interiore più elevata.

2. Quali sono le ragioni per cui, dopo molto decenni di regime ateo e dogmatico, si verifica un quasi immediato auto-riconoscimento nel fattore religioso? Senza dubbio è semplicistico spiegare il fenomeno asserendo che la religione è diventata un sostituto ideologico. Le ragioni sono altre e non vanno ricercate nella storia più recente. Seguendo un approccio sociologico, prima di tutto bisogna argomentare il concetto e la storicità di “religione ortodossa”: essa appare quindi come una religione pre-moderna, che non ha conosciuto sostanziali interruzioni e violazioni da parte di fenomeni tipicamente moderni, a partire dal Rinascimento per arrivare alla Rivoluzione industriale. L’Ortodossia è coinvolta nella modernità, ma non è parte di essa. Questa specificità le permette realisticamente di svolgere una funzione di progetto esistenziale alternativo nella contemporaneità romena, interessata anch’essa dal quel fenomeno chiamato Erzauberung der Welt – critica della modernità come progetto di vita.

Oltretutto dopo il 1989 si assiste ad un revival di misticismo religioso che, fondendosi con tratti specifici del folclore popolare, genera una rivisitazione particolare della spiritualità profonda del cosi detto “cristianesimo popolare”. Ma se i legami fra tradizioni popolari arcaiche e vita religiosa sono forti, l’aspetto che emerge con più forza è la rigenerata spiritualità popolare. L’11 maggio 2008 è stato il giorno della canonizzazione del martire Atanasie Todoran di Bichigiu. La cerimonia si è svolta a Salva (in Transilvania), sull’altipiano Mocirla, dove Atanasie venne torturato e ucciso nel 1763, per essersi opposto alla politica omologatrice degli Asburgo. La figura del martire, tra verità e leggenda (si presume che fosse nato nel 1663), è stata invocata e venerata come esempio di un sentimento forte dei romeni (che hanno partecipato numerosi all’evento) di attaccamento alla loro specificità spirituale ortodossa, intesa come identità verticale con il passato che resiste nei secoli e che vince quella che Mircea Eliade ha definito “il terrore della storia”.

Un altro singolare aspetto della rinnovata spiritualità romena, cui si è fatto cenno sopra, è la tradizione monastica. All’inizio del 2004 funzionano 392 monasteri, 177 eremitaggi (schit) e 5 centri abitativi subordinati (metoc), con una popolazione monastica complessiva di 7631 unita, di cui 2748 monaci e 4883 monache. Nel 1975 la popolazione monastica era stimata attorno a circa 2200 unita e nel 1995 a 5500. Il rinnovato interesse per figure centrali della vita religiosa, chiari esempi di cristianità nel corso dei secoli, gli stareti, ha contribuito anche all’aumento delle vocazioni monastiche. Un ampia produzione editoriale ha poi permesso ai romeni di riappropriarsi di una trazione spirituale fatta di uomini che con la loro vita hanno rappresentato esempi importanti di vita ascetica e di ‘reale’ attaccamento alla cristianità ortodossa.

3. Il legame tra Chiesa e Stato, lungi dall’essere chiarito nei suoi lati più oscuri da entrambi i soggetti, è stato giustificato da parte della Chiesa come l’applicazione del principio bizantino dalla Sinfonia dei due poteri, determinando di conseguenza la traduzione in religione di stato dell’ortodossia romena. Il crollo del regime non ha modificato nei metodi l’atteggiamento della Chiesa, che ha continuato ad avere anche una voce in campo politico. Questo dato permette anche di riflettere sulla condizione delle altre confessioni religiose, naturalmente messe in secondo piano, e sull’odierna posizione della stessa Chiesa ortodossa. La tendenza è quella di sorvolare sulle evidenti commistioni passate tra clero e potere comunista. L’immediata ricerca di una nuova spiritualità, o forse sarebbe meglio dire la volontà di continuità nella tradizione, ha portato all’individuazione della Chiesa ortodossa come unico ente morale riconosciuto del paese. Le processioni religiose che hanno salutato i nuovi uomini politici post-comunisti, le commemorazioni dei morti della rivolta di Timisoara, i dibattiti nelle trasmissioni radiofoniche e televisive hanno favorito l’immagine positiva della Chiesa, che rimane il solo organismo gerarchico che, non avendo avuto peso nella disastrosa politica del regime, non e soggetto a rivalutazioni critiche. L’abile uso di un sentimento di appartenenza nazionale per ripristinare il suo prestigio e trovare un accordo con il popolo romeno e il sintomo sia della volontà di preservare la nazione romena e l’identità di fronte alla crescente secolarizzazione e al proselitismo di altre confessioni, sia della volontà di mantenere una posizione forte nel contesto socio-politico.

Che dire dello attuale stato ermeneutico della tradizione? “Mantenersi nella filiazione della propria tradizione, integrando allo stesso tempo, appunto per mantenersi nella sua itineranza di senso, dati e segni della verità contenuta in altri spazi spirituali e in altre culture”: sarebbe questa una delle maniere in cui, come scrive A. Manolescu, “accedere alla tradizione significa accedere all’universale”. Essere interiormente in un perpetuo stato di itineranza in ciò che i medievali chiamavano stabilitas in peregrinatione: ecco quale sarebbe la condizione dello straniero attraverso la quale egli accede alla tradizione, cioè all’universale spirituale. Si tratta di un ampio respiro dell’interpretazione che in una prima tappa si allarga verso tutte le tradizioni e le culture spirituali; segue poi una seconda tappa di concentrazione che ritorna, dall’orizzonte di senso in tal modo ricavata. I grandi temi che preoccuparono gli intellettuali romeni nel periodo intrabellico furono l’identità nazionale e la prefigurazione del destino della Romania moderna. A questo riguardo si manifestarono due orientamenti opposti: l’occidentalismo, da una parte, e il tradizionalismo, ovvero l’autoctonismo, dall’altra parte. L’ortodossia è stata in genere invocata associata ai valori, il più delle volte idealizzati e sopravvalutati, dell’universo paesano. A causa di questa immagine, l’ortodossia moderna si auto-costruì nel secondo dopoguerra, giungendo anche a collaborare col nazional-comunismo. Un quesito particolare dunque si pone oggi: sarò il “marginale spirituale” dell’Est europeo, un personaggio che, attraverso l’influenza che esercita sulla mentalità generale, riesce a spingerla verso la condizione di marginalità, di provincialismo? Sarà capace di adottare un nuovo profilo, soprattutto per scoprire in modo creativo la propria tradizione?

Ci siamo soffermati sulla situazione romena, sotto molti aspetti, per la sua esemplarità del fenomeno in esame. In queste pagine pero l’attenzione viene portata anche su altre realtà balcaniche: in particolare sulla Bulgaria e sulla Serbia. Ringrazio il Prof. Stefano Bianchini, un raro conoscitore del mondo balcanico, per averci gentilmente permesso di venire a contatto con eccellenti specialisti della materia in oggetto. In un prossimo numero pubblicheremo un contributo del Professore sull’Albania.

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